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Altitudine e prestazione sportiva

Autore: Paolo Tadini - 2015-04-27

Milioni di persone nel mondo vivono e lavorano ad altitudini comprese tra i 3.000 ed i 5.000 metri sul livello del mare. A tali quote le popolazioni residenti sono perfettamente autosufficienti ma per un soggetto non acclimatato l’impegno fisiologico si rende particolarmente evidente nel corso dell’attività fisica.

QUALI SONO LE CONDIZIONI CHE SI INCONTRANO IN QUOTA?

L’aria che inspiriamo è una miscela gassosa costituita da circa: 78% azoto, 21% ossigeno, 0,04% CO2 più alcuni gas inerti (Argon, Elio, Ozono). La pressione atmosferica è data dalla somma delle singole pressioni parziali di questi gas che la compongono. Ma cosa succede all’aumentare dell’altitudine? Si riduce la pressione atmosferica e pertanto si riducono in proporzione anche le pressioni parziali dei singoli gas.

Il dato più rilevante dal punto di vista fisiologico-sportivo è la riduzione della pressione parziale dell’ossigeno (PO2) all’aumentare della quota. In pratica, ad un aumento di altitudine corrisponde una minor quantità di O2 che raggiunge i nostri polmoni, dunque il nostro sistema cardiocircolatorio porta meno ossigeno ai tessuti muscolari e, di conseguenza si ottiene un calo dell’efficienza e della perfomance.

QUOTA (m) Patm (m) PO2 (m)
0 760 159
1.000 674 141
2.000 596 125
3.000 526 110
4.000 462 97
5.000 405 85
Tab.1 Variazione Patm e PO2 all'aumentare della Quota (m)

COME RISPONDE IL NOSTRO ORGANISMO A TALI CONDIZIONI?

In un soggetto esposto ad un’ altezza compresa tra i 2.000/2.500 m si verificano rapide e precise risposte funzionali in grado di compensare la riduzione delle pressione parziale dell’ossigeno:

L’iperventilazione, ovvero l’aumento degli atti respiratori, realizza un maggior ricambio dell’aria alveolare, con l’obiettivo di aumentare la PO2 ed ottenere una migliore ossigenazione del sangue.

L’aumento della gittata cardiaca invece è la soluzione che l’organismo adotta per aumentare, in condizione di ipossia, l’apporto di O2 ai tessuti. Avendo quindi a disposizione meno O2 per unità di volume d’aria, bisogna ventilare di più ed il cuore deve aumentare la frequenza di contrazione per apportare la medesima quantità di O2 ai tessuti.

Se la permanenza alle alte quote perdura per alcuni giorni si verificano altri adattamenti quali:

La modificazione dell’ equilibrio acido-base nel sangue è legata ad una riduzione della concentrazione di CO2 nel sangue, da cui deriva un aumento del PH plasmatico, condizione definita come alcalosi da iperventilazione. Il nostro organismo risponde a questo stato con una maggiore eliminazione di ioni bicarbonato con le urine, riportando così il PH a livello fisiologico (PH = 7,4).

L’ aumento globuli rossi ed emoglobina: l’altro aspetto tipico dell’esposizione cronica all’alta quota è rappresentata dalle variazioni a carico del sangue. Ovvero si verifica una riduzione della massa plasmatica ed un aumento della sintesi di globuli rossi, e quindi anche di emoglobina. Tali condizioni comportano un aumento della capacità di trasporto dell’O2 da parte del sangue.

E’ UN VANTAGGIO ALLENARSI IN QUOTA?

Il reale vantaggio che si ottiene dall’allenamento in quota è dato da tutti quegli adattamenti a cui è sottoposto il fisico dell’atleta, in particolare a carico del sistema cardiorespiratorio e di quello della microcircolazione, permanendo in ambiente povero di ossigeno. Tali adattamenti sono in grado di

Per quale motivo però allenarsi in altura migliora la prestazione! Le ragioni sono essenzialmente tre:

La prima è perché il fisico è costretto a potenziare tutti i muscoli interessati a migliorare/maggiorare la funzione respiratoria/ventilatoria . La seconda è perché la carenza di O2 delle alte quote obbliga gli alveoli polmonari ad un superlavoro, una sorta di training che faciliterà successivamente la funzione a bassa quota, dove l’ossigeno è in percentuale maggiore. Un atleta che ha maggiorato la capacità del proprio sistema respiratorio in quota, quando si troverà in situazioni di maggiori percentuali di O2 migliorerà certamente la performance. La terza motivazione risiede nel fatto che la lunga permanenza all’alta quota stimola il midollo osseo alla produzione di maggior quantità di globuli rossi (poliglobulia).

Tutti questi benefici vengono massimizzati dal soggetto che in altura svolge attività fisica.

QUANTO OSSIGENO ABBIAMO NEL SANGUE MAN MANO CHE LO SFORZO AUMENTA?

Test fisici su atleti sottoposti a test incrementale su cicloergometro, parametrando i battiti cardiaci tramite cardiofrequenzimetro, la potenza espressa in watt tramite rilevatore di potenza e la desaturazione di O2 con pulsiossimetro, hanno dimostrato che all’aumentare dello sforzo, e con esso dei battiti cardiaci e watt erogati, diminuisce la percentuale di saturazione di ossigeno. Quindi, man mano che lo sforzo sale si riesce a consumare tanto ossigeno da far scendere la saturazione fino all’85% circa. Ciò dimostra come un fattore altamente limitante la prestazione dell’atleta che si appresta ad eseguire uno sforzo massimo, oltre alle alte concentrazioni di acido lattico, è la carenza di O2 nel sangue, che dall’atleta sotto sforzo viene soggettivamente avvertita come fame d’aria. Ecco che allora si capisce l’importanza di allenarsi in montagna, in quanto anche a frequenze cardiache molto più basse si ricrea la stessa situazione di carenza di ossigeno che al livello del mare si incontrano quasi alla frequenza di soglia, con un 90% di desaturazione di O2.

BIBLIOGRAFIA

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